Scrittura. La mia cura personale alla negatività

Era da tanto che non mi capitava di scrivere qualcosa sul mio blog. O forse sarebbe più corretto dire semplicemente: era da tanto che non mi capitava di scrivere.

Non perché mi mancasse la voglia, non perché mi mancassero le idee… Semplicemente mi mancavano le energie, mi mancava la serenità per poterlo fare. E dal momento che scrivo sempre con l’anima e con il cuore, perché avrei dovuto permettere a sensazioni negative di farsi strada tra le mie parole? Sarebbe stato un insulto alla mia stessa scrittura, un’offesa ai miei sentimenti più veri e profondi. E sarebbe stato un oltraggio a me stessa, se avessi permesso ancora a quei pensieri di tormentarmi e di condizionarmi.

Pensieri del passato, che, per una ragione o per un’altra, fino a poco tempo fa avevano continuato ad angosciarmi. E odiavo quei momenti… Chiunque li avrebbe odiati. L’essere interiormente tormentati è una prerogativa frequente tra gli scrittori (o, più in generale, tra gli artisti), perché sono dotati di una sensibilità spiccata, di un’emotività unica e straordinaria, di una capacità creativa senza limiti.

Sono sempre stata orgogliosa della mia creatività. Un po’ meno della mia emotività: se non fosse così incombente, potrei gestire le situazioni in maniera diversa (e forse migliore). Ma chi può dire quale sia il modo migliore di risolvere i problemi? Io sono sempre stata di un’idea ben precisa: è giusto fare e dire ciò che si prova, senza timore di essere derisi o giudicati. Non si dovrebbe mai avere paura di esprimere ciò che si sente o ciò che si è: io, quella paura, avevo cominciato a provarla. E la provai a lungo.

E avevo cominciato a chiudermi in me stessa. Avevo cominciato a creare una corazza, intorno a me, e a renderla sempre più resistente, sempre più impossibile da scalfire. Doveva essere il mio scudo, la mia protezione, la mia soluzione alla sofferenza. Ma poi capii il mio errore. Stavo cercando una soluzione all’esterno, quando invece avrei dovuto ricercarla dentro di me: ero io la soluzione.

E’ sempre piacevole ricevere un supporto da chi ti sta accanto… Chi potrebbe mai rifiutarlo? E’ una prova di affetto, un modo silenzioso di dire “sono qui”. Ma siamo noi a fare la differenza. Siamo noi a dover dire “adesso basta” al nostro inconscio e a tirarlo fuori da quell’infinito oceano di paure.

Io dovevo solo tornare a prendere consapevolezza della mia forza, del mio coraggio, della mia sicurezza. Solo in questo modo avrei potuto sentirmi ancora bene con me stessa. La maniera migliore per farlo? Scrivere. Come ho potuto anche solo pensare di abbandonare la mia passione più grande? Perché sì, un giorno dalle mie labbra era davvero uscita la frase: “Non scriverò mai più”.

Un errore che non ripeterò. Ho sottovalutato il potere della scrittura, come ho sottovalutato me stessa per troppo tempo.

Oggi, ho deciso di condividere pubblicamente questi miei pensieri su una pagina del mio blog Arcadia: una cosa che, prima, non avrei mai fatto, vergognandomi di ciò che chiunque avrebbe potuto pensare.

Adesso non è più così. Adesso ho una percezione diversa di me stessa: non provo più alcun imbarazzo, come non provo più alcuna paura per quello che sento e, soprattutto, per quello che sono. Perché credo che sia mille volte meglio soffrire (e farsi mille paranoie, come ho fatto e come, probabilmente, ogni tanto farò ancora) ma essere se stessi, piuttosto che non soffrire ma vivere con superficialità.

Del resto, sono proprio le sofferenze e il dolore a farci maturare e a renderci consapevoli. Di chi siamo, di cosa vogliamo, di ciò che amiamo. Le cose vanno così, dopotutto: si vive, si soffre, si cresce e, se necessario, si rinasce (con un nuovo e rigenerato spirito).